La volta scorsa dicevo che avrei pubblicato un post su un libro con toni molto differenti dal precedente. Confermo le mie intenzioni: questo è una specie di post sull'amore cartaceo.
Racconto di due città, pubblicato anche semplicemente come Le due città, è un romanzo storico scritto da Charles Dickens e sono sicura che se avessi vissuto a Londra nel suo periodo, sarei stata una sua groupie e avrei fatto di tutto pur di lavorare con lui. Lavorando meno di fantasia, potrei anche dire che mi sarei appassionata di più alla letteratura scolastica se avessimo studiato Dickens anziché Manzoni, che a detta di un mio prof dell'epoca "Manzoni era un gran trombone", nel senso che era un ampolloso logorroico col panzone.
Racconto di due città, pubblicato anche semplicemente come Le due città, è un romanzo storico scritto da Charles Dickens e sono sicura che se avessi vissuto a Londra nel suo periodo, sarei stata una sua groupie e avrei fatto di tutto pur di lavorare con lui. Lavorando meno di fantasia, potrei anche dire che mi sarei appassionata di più alla letteratura scolastica se avessimo studiato Dickens anziché Manzoni, che a detta di un mio prof dell'epoca "Manzoni era un gran trombone", nel senso che era un ampolloso logorroico col panzone.
Sto divagando, mi concentro.
Dickens, dunque. Oh che dire, sono innamorata di questo scrittore! Così come mi sono innamorata di Sydney Carton, il vero protagonista del romanzo pur apparendo meno di altri, l'avvocato londinese che ha perduto l'anima, non si sa come e quando, tra abusi d'alcool e interessi terreni triviali ed effimeri. Non gli importa di cambiare, di provare ad essere un uomo migliore (non saprebbe neanche come fare), pensa di non meritare di essere una brava persona, rimane convinto che nulla possa salvare la sua anima ormai corrotta dai troppi vizi. Neanche quando conosce e si innamora della bella Lucie Manette crede di meritare qualcosa di buono, si crede ormai finito, perduto. Lo dice anche a lei in uno straziante pezzo:
[...] Se avrete la pazienza di ascoltarmi un altro po', tutto quello che voi potete fare per me sarà fatto. Io desidero che sappiate che voi siete stata l'ultimo sogno dell'anima mia. Nel mio precipizio non sono andato tanto in giù che la vista di voi con vostro padre e di questa casa, resa da voi qual è, non abbia ridestato in me delle vecchie immagini che credevo svanite. Dal giorno che vi ho conosciuta, io sono stato turbato da un rimorso che non credevo mi avrebbe più assalito, e ho udito dei bisbigli di vecchie voci, che credevo non avessero più fiato, incoraggiarmi a salire. Ho sentito risorgere in me qualche idea di darmi da fare di nuovo, di cominciare da capo, di riscuotermi dalla pigrizia e dalla sensualità, e di combattere di nuovo la battaglia abbandonata. Un sogno, tutto un sogno, che si dissolve in nulla, e lascia il dormiente dove giaceva addormentato; ma desidero che voi sappiate che è stato ispirato da voi.-
-Non ne rimarrà nulla? O signor Carton, pensate un po'. Provate ancora.-
-No, signorina Manette; per tutto questo tempo, mi son persuaso d'essere immeritevole. E pure ho avuto la debolezza, e ho ancora la debolezza di desiderare che sappiate che col vostro dominio mi avete improvvisamente, mucchio di cenere qual sono, trasformato in fuoco... un fuoco, però, nella sua natura inseparabile da me, un fuoco che non ravviva nulla, non illumina nulla, non serve a nessuno e pigramente si consuma. [...]
Il massimo bene che potete farmi ora, signorina Manette, sono venuto a raccoglierlo qui. Che io, per tutto il resto della mia sciagurata vita, porti il ricordo di aver aperto il mio cuore a voi, l'ultima persona al mondo alla quale l'avrei aperto; [...]
che la mia ultima confessione l'ho fatta a voi, e che il mio nome, le mie colpe e le mie infelicità furono pietosamente serbate nel vostro cuore. E che il vostro, d'altra parte, possa essere sgombro di preoccupazioni e felice!-
Egli era così dissimile da quel che s'era sempre mostrato, ed era così triste pensare a quanto aveva dilapidato e a quanto ogni giorno lasciava inerte o guastava, che Lucie Manette piangeva dolorosamente per lui che se n'andava.
C'è disperazione in queste pagine, e dolore, romanticismo, l'essere vittime e carnefici di se stessi. Nonostante il suo forte amore per lei, Sydney non osa aver dubbi sulla sorte della propria anima, è perduta e neanche l'amore può salvarlo; anzi, è convinto che la propria presenza nel cuore di Lucie possa influenzare il buon cuore di lei e corromperla, portarla in basso nel fango insieme a lui. Perciò Sydney la lascia andare, assiste senza far nulla alle nozze di lei con Charles Darnay, un parigino emigrato a Londra come lei, un uomo dall'aspetto così simile a lui da farlo scagionare da un processo, ma così diverso per la qualità del suo carattere e del suo onore. Penso ci sia una grande, dolorosa lezione in questo atto di altruistico sacrificio: anteporre il bene altrui al proprio, dare il proprio meglio alla persona amata prima di pretendere questo dall'altro. E penso che se entrambe le persone di una relazione avessero queste intenzioni, si avrebbe uno status più saldo ed equilibrato.
Questa è la parte più sentimentale del libro, ma c'è molto di più. Lo si evince già dalle prime righe.
Si tratta dunque principalmente dell'analisi del periodo storico (presa della Bastiglia, anni del terrore), di cose che generalmente non vengono descritte con precisione nei libri di storia scolastici. Ci fanno sempre le lezioncine su come aristocratici, regnanti e clero francesi fossero cattivi e persecutori con il popolo, ridotto sempre più alla fame, alla malattia e alla miseria, e di come ad un certo punto giustamente il popolo s'è fracassato i gabbasisi di stare lì fermo a subire e a morire come se la loro vita poiché umile non valesse un cazzo, perciò si sono ribellati fino a uccidere re, regina, principini e una vagonata assurda di aristocratici e così hanno ottenuto uguaglianza, fratellanza e libertà. Ma c'è di più.
Non ci fanno imparare le pagine di orrore quotidiano, di mattanza di esseri umani, di come il popolo si sia trasformato da oppresso a oppressore, da giudicato a giudicante, come il sogno di uno stato giusto si sia infranto già ai suoi albori. Non ci vuole molto a capire che sono cambiate soltanto le figure ma che il senso è lo stesso: il potere a pochi, la giustizia manipolabile e violenta. Bastava infatti la parola di un cittadino qualunque e il sospetto che una persona fosse della nobiltà o un sostenitore dell'aristocrazia per mandarla alla ghigliottina. Non ci si poteva fidare di nessuno e nessuno poteva ritenersi immune. Da un momento all'altro chiunque, che fosse una sarta, un panettiere o un soldato, poteva essere trascinato via dai berretti rossi dei "patrioti", messo davanti ad una giuria di finti pari amanti del sangue e poi trascinato al patibolo così, senza possibilità di difendersi e di essere creduto.
Anche allora come oggi, è la paura di un pericolo incombente che ci fa agire. Sono il sospetto e la paura che ci muovono. Il problema è che la storia viene scritta dai vincitori, e pur di avere un bel finale si omettono dei dettagli. Ebbene, Dickens non omette nulla di questi orrori nei suoi esempi di vita vissuta, nella descrizione di vicoli bui e fetidi, di case diroccate, di povera gente morta di fame e di stenti, del circolo di comari che prendevano nota dei misfatti causati dai potenti cucendoli nei loro lavori a maglia, di colpevoli e innocenti ugualmente ammassati e massacrati come un gregge diretto al macello. Nel suo modo crudo ma non eccessivamente cruento di narrare, Dickens è riuscito a farmi respirare prima l'aria della miseria di Parigi, poi il brivido della rivoluzione incombente; ma anche il sollievo di essere arrivati incolumi a Londra, la paura nel tornare in Francia nel dopo guerra, la speranza più volte tradita di riuscire a salvare la pelle.
All'inizio c'è la paura e le vertigini della giovane Lucie, che scopre che il padre non è deceduto come le aveva raccontato la madre, ma che era stato portato via dai soldati senza dargli possibilità di parlare alla famiglia, senza neanche dirgli mai in tanti anni di prigionia i motivi che lo avevano fatto portare alla Bastiglia in isolamento e senza aver ricevuto una visita, o un po' di aria.
Una volta ritrovato il padre, un altro dolore: gli anni di isolamento avevano fatto impazzire il padre, che da giovane e brillante medico si era trasformato in un vecchio calzolaio senza cervello. Ma grazie alle cure di Lucie, che porta il padre al sicuro a Londra e continua a curarlo con amore e dedizione, il padre ritrova se stesso, oltre alla figlia che non sapeva di avere.
In questa atmosfera i Manette conoscono Darnay e Carton e le loro vite si intrecciano, nel bene e nel male.
Mi fermo, non vorrei rivelare troppo, già sto scrivendo troppo. Ma è davvero un bel libro, anche meglio di Grandi speranze che pure ho adorato.
Au revoir!
Dickens, dunque. Oh che dire, sono innamorata di questo scrittore! Così come mi sono innamorata di Sydney Carton, il vero protagonista del romanzo pur apparendo meno di altri, l'avvocato londinese che ha perduto l'anima, non si sa come e quando, tra abusi d'alcool e interessi terreni triviali ed effimeri. Non gli importa di cambiare, di provare ad essere un uomo migliore (non saprebbe neanche come fare), pensa di non meritare di essere una brava persona, rimane convinto che nulla possa salvare la sua anima ormai corrotta dai troppi vizi. Neanche quando conosce e si innamora della bella Lucie Manette crede di meritare qualcosa di buono, si crede ormai finito, perduto. Lo dice anche a lei in uno straziante pezzo:
[...] Se avrete la pazienza di ascoltarmi un altro po', tutto quello che voi potete fare per me sarà fatto. Io desidero che sappiate che voi siete stata l'ultimo sogno dell'anima mia. Nel mio precipizio non sono andato tanto in giù che la vista di voi con vostro padre e di questa casa, resa da voi qual è, non abbia ridestato in me delle vecchie immagini che credevo svanite. Dal giorno che vi ho conosciuta, io sono stato turbato da un rimorso che non credevo mi avrebbe più assalito, e ho udito dei bisbigli di vecchie voci, che credevo non avessero più fiato, incoraggiarmi a salire. Ho sentito risorgere in me qualche idea di darmi da fare di nuovo, di cominciare da capo, di riscuotermi dalla pigrizia e dalla sensualità, e di combattere di nuovo la battaglia abbandonata. Un sogno, tutto un sogno, che si dissolve in nulla, e lascia il dormiente dove giaceva addormentato; ma desidero che voi sappiate che è stato ispirato da voi.-
-Non ne rimarrà nulla? O signor Carton, pensate un po'. Provate ancora.-
-No, signorina Manette; per tutto questo tempo, mi son persuaso d'essere immeritevole. E pure ho avuto la debolezza, e ho ancora la debolezza di desiderare che sappiate che col vostro dominio mi avete improvvisamente, mucchio di cenere qual sono, trasformato in fuoco... un fuoco, però, nella sua natura inseparabile da me, un fuoco che non ravviva nulla, non illumina nulla, non serve a nessuno e pigramente si consuma. [...]
Il massimo bene che potete farmi ora, signorina Manette, sono venuto a raccoglierlo qui. Che io, per tutto il resto della mia sciagurata vita, porti il ricordo di aver aperto il mio cuore a voi, l'ultima persona al mondo alla quale l'avrei aperto; [...]
che la mia ultima confessione l'ho fatta a voi, e che il mio nome, le mie colpe e le mie infelicità furono pietosamente serbate nel vostro cuore. E che il vostro, d'altra parte, possa essere sgombro di preoccupazioni e felice!-
Egli era così dissimile da quel che s'era sempre mostrato, ed era così triste pensare a quanto aveva dilapidato e a quanto ogni giorno lasciava inerte o guastava, che Lucie Manette piangeva dolorosamente per lui che se n'andava.
C'è disperazione in queste pagine, e dolore, romanticismo, l'essere vittime e carnefici di se stessi. Nonostante il suo forte amore per lei, Sydney non osa aver dubbi sulla sorte della propria anima, è perduta e neanche l'amore può salvarlo; anzi, è convinto che la propria presenza nel cuore di Lucie possa influenzare il buon cuore di lei e corromperla, portarla in basso nel fango insieme a lui. Perciò Sydney la lascia andare, assiste senza far nulla alle nozze di lei con Charles Darnay, un parigino emigrato a Londra come lei, un uomo dall'aspetto così simile a lui da farlo scagionare da un processo, ma così diverso per la qualità del suo carattere e del suo onore. Penso ci sia una grande, dolorosa lezione in questo atto di altruistico sacrificio: anteporre il bene altrui al proprio, dare il proprio meglio alla persona amata prima di pretendere questo dall'altro. E penso che se entrambe le persone di una relazione avessero queste intenzioni, si avrebbe uno status più saldo ed equilibrato.
Questa è la parte più sentimentale del libro, ma c'è molto di più. Lo si evince già dalle prime righe.
Si tratta dunque principalmente dell'analisi del periodo storico (presa della Bastiglia, anni del terrore), di cose che generalmente non vengono descritte con precisione nei libri di storia scolastici. Ci fanno sempre le lezioncine su come aristocratici, regnanti e clero francesi fossero cattivi e persecutori con il popolo, ridotto sempre più alla fame, alla malattia e alla miseria, e di come ad un certo punto giustamente il popolo s'è fracassato i gabbasisi di stare lì fermo a subire e a morire come se la loro vita poiché umile non valesse un cazzo, perciò si sono ribellati fino a uccidere re, regina, principini e una vagonata assurda di aristocratici e così hanno ottenuto uguaglianza, fratellanza e libertà. Ma c'è di più.
Non ci fanno imparare le pagine di orrore quotidiano, di mattanza di esseri umani, di come il popolo si sia trasformato da oppresso a oppressore, da giudicato a giudicante, come il sogno di uno stato giusto si sia infranto già ai suoi albori. Non ci vuole molto a capire che sono cambiate soltanto le figure ma che il senso è lo stesso: il potere a pochi, la giustizia manipolabile e violenta. Bastava infatti la parola di un cittadino qualunque e il sospetto che una persona fosse della nobiltà o un sostenitore dell'aristocrazia per mandarla alla ghigliottina. Non ci si poteva fidare di nessuno e nessuno poteva ritenersi immune. Da un momento all'altro chiunque, che fosse una sarta, un panettiere o un soldato, poteva essere trascinato via dai berretti rossi dei "patrioti", messo davanti ad una giuria di finti pari amanti del sangue e poi trascinato al patibolo così, senza possibilità di difendersi e di essere creduto.
Anche allora come oggi, è la paura di un pericolo incombente che ci fa agire. Sono il sospetto e la paura che ci muovono. Il problema è che la storia viene scritta dai vincitori, e pur di avere un bel finale si omettono dei dettagli. Ebbene, Dickens non omette nulla di questi orrori nei suoi esempi di vita vissuta, nella descrizione di vicoli bui e fetidi, di case diroccate, di povera gente morta di fame e di stenti, del circolo di comari che prendevano nota dei misfatti causati dai potenti cucendoli nei loro lavori a maglia, di colpevoli e innocenti ugualmente ammassati e massacrati come un gregge diretto al macello. Nel suo modo crudo ma non eccessivamente cruento di narrare, Dickens è riuscito a farmi respirare prima l'aria della miseria di Parigi, poi il brivido della rivoluzione incombente; ma anche il sollievo di essere arrivati incolumi a Londra, la paura nel tornare in Francia nel dopo guerra, la speranza più volte tradita di riuscire a salvare la pelle.
All'inizio c'è la paura e le vertigini della giovane Lucie, che scopre che il padre non è deceduto come le aveva raccontato la madre, ma che era stato portato via dai soldati senza dargli possibilità di parlare alla famiglia, senza neanche dirgli mai in tanti anni di prigionia i motivi che lo avevano fatto portare alla Bastiglia in isolamento e senza aver ricevuto una visita, o un po' di aria.
Una volta ritrovato il padre, un altro dolore: gli anni di isolamento avevano fatto impazzire il padre, che da giovane e brillante medico si era trasformato in un vecchio calzolaio senza cervello. Ma grazie alle cure di Lucie, che porta il padre al sicuro a Londra e continua a curarlo con amore e dedizione, il padre ritrova se stesso, oltre alla figlia che non sapeva di avere.
In questa atmosfera i Manette conoscono Darnay e Carton e le loro vite si intrecciano, nel bene e nel male.
Mi fermo, non vorrei rivelare troppo, già sto scrivendo troppo. Ma è davvero un bel libro, anche meglio di Grandi speranze che pure ho adorato.
Au revoir!
Mia cara mi ricordi tanto i miei anni scolastici e come avrei voluto avere il tuo professore che illustrava il Manzoni( tanto bravo pover'uomo) ma veramente tanto noioso...
RispondiEliminaCi sono cose nella letteratura inglese che ti prendono e ti affascinano come le leggessi per la prima volta , vedi Dickens, vedi le sorelle Bronte privilegiate al mio esame universitario, vedi queste descrizioni che ti inquadrano nel tempo senza essere logorroici, vedi l'amore, l'espiazione..insomma una meraviglia.
Grazie per questo post mia cara.Bacissimo
Grazie a te per aver letto e commentato, apprezzo le tue parole. Bacioni!
EliminaBuona sera, un post molto interessante. Grazie per averlo condiviso! Ti auguro un buon fine settimana a presto!
RispondiEliminaGrazie e buon inizio di settimana :)
Elimina