giovedì 31 agosto 2017

Racconto di due città.

La volta scorsa dicevo che avrei pubblicato un post su un libro con toni molto differenti dal precedente. Confermo le mie intenzioni: questo è una specie di post sull'amore cartaceo.
Racconto di due città, pubblicato anche semplicemente come Le due città, è un romanzo storico scritto da Charles Dickens e sono sicura che se avessi vissuto a Londra nel suo periodo, sarei stata una sua groupie e avrei fatto di tutto pur di lavorare con lui. Lavorando meno di fantasia, potrei anche dire che mi sarei appassionata di più alla letteratura scolastica se avessimo studiato Dickens anziché Manzoni, che a detta di un mio prof dell'epoca "Manzoni era un gran trombone", nel senso che era un ampolloso logorroico col panzone.
Sto divagando, mi concentro.
Dickens, dunque. Oh che dire, sono innamorata di questo scrittore! Così come mi sono innamorata di Sydney Carton, il vero protagonista del romanzo pur apparendo meno di altri, l'avvocato londinese che ha perduto l'anima, non si sa come e quando, tra abusi d'alcool e interessi terreni triviali ed effimeri. Non gli importa di cambiare, di provare ad essere un uomo migliore (non saprebbe neanche come fare), pensa di non meritare di essere una brava persona, rimane convinto che nulla possa salvare la sua anima ormai corrotta dai troppi vizi. Neanche quando conosce e si innamora della bella Lucie Manette crede di meritare qualcosa di buono, si crede ormai finito, perduto. Lo dice anche a lei in uno straziante pezzo:

[...] Se avrete la pazienza di ascoltarmi un altro po', tutto quello che voi potete fare per me sarà fatto. Io desidero che sappiate che voi siete stata l'ultimo sogno dell'anima mia. Nel mio precipizio non sono andato tanto in giù che la vista di voi con vostro padre e di questa casa, resa da voi qual è, non abbia ridestato in me delle vecchie immagini che credevo svanite. Dal giorno che vi ho conosciuta, io sono stato turbato da un rimorso che non credevo mi avrebbe più assalito, e ho udito dei bisbigli di vecchie voci, che credevo non avessero più fiato, incoraggiarmi a salire. Ho sentito risorgere in me qualche idea di darmi da fare di nuovo, di cominciare da capo, di riscuotermi dalla pigrizia e dalla sensualità, e di combattere di nuovo la battaglia abbandonata. Un sogno, tutto un sogno, che si dissolve in nulla, e lascia il dormiente dove giaceva addormentato; ma desidero che voi sappiate che è stato ispirato da voi.-
-Non ne rimarrà nulla? O signor Carton, pensate un po'. Provate ancora.-
-No, signorina Manette; per tutto questo tempo, mi son persuaso d'essere immeritevole. E pure ho avuto la debolezza, e ho ancora la debolezza di desiderare che sappiate che col vostro dominio mi avete improvvisamente, mucchio di cenere qual sono, trasformato in fuoco... un fuoco, però, nella sua natura inseparabile da me, un fuoco che non ravviva nulla, non illumina nulla, non serve a nessuno e pigramente si consuma. [...]
Il massimo bene che potete farmi ora, signorina Manette, sono venuto a raccoglierlo qui. Che io, per tutto il resto della mia sciagurata vita, porti il ricordo di aver aperto il mio cuore a voi, l'ultima persona al mondo alla quale l'avrei aperto; [...]
che la mia ultima confessione l'ho fatta a voi, e che il mio nome, le mie colpe e le mie infelicità furono pietosamente serbate nel vostro cuore. E che il vostro, d'altra parte, possa essere sgombro di preoccupazioni e felice!-
Egli era così dissimile da quel che s'era sempre mostrato, ed era così triste pensare a quanto aveva dilapidato e a quanto ogni giorno lasciava inerte o guastava, che Lucie Manette piangeva dolorosamente per lui che se n'andava.

C'è disperazione in queste pagine, e dolore, romanticismo, l'essere vittime e carnefici di se stessi. Nonostante il suo forte amore per lei, Sydney non osa aver dubbi sulla sorte della propria anima, è perduta e neanche l'amore può salvarlo; anzi, è convinto che la propria presenza nel cuore di Lucie possa influenzare il buon cuore di lei e corromperla, portarla in basso nel fango insieme a lui. Perciò Sydney la lascia andare, assiste senza far nulla alle nozze di lei con Charles Darnay, un parigino emigrato a Londra come lei, un uomo dall'aspetto così simile a lui da farlo scagionare da un processo, ma così diverso per la qualità del suo carattere e del suo onore. Penso ci sia una grande, dolorosa lezione in questo atto di altruistico sacrificio: anteporre il bene altrui al proprio, dare il proprio meglio alla persona amata prima di pretendere questo dall'altro. E penso che se entrambe le persone di una relazione avessero queste intenzioni, si avrebbe uno status più saldo ed equilibrato.
Questa è la parte più sentimentale del libro, ma c'è molto di più. Lo si evince già dalle prime righe.


Si tratta dunque principalmente dell'analisi del periodo storico (presa della Bastiglia, anni del terrore), di cose che generalmente non vengono descritte con precisione nei libri di storia scolastici. Ci fanno sempre le lezioncine su come aristocratici, regnanti e clero francesi fossero cattivi e persecutori con il popolo, ridotto sempre più alla fame, alla malattia e alla miseria, e di come ad un certo punto giustamente il popolo s'è fracassato i gabbasisi di stare lì fermo a subire e a morire come se la loro vita poiché umile non valesse un cazzo, perciò si sono ribellati fino a uccidere re, regina, principini e una vagonata assurda di aristocratici e così hanno ottenuto uguaglianza, fratellanza e libertà. Ma c'è di più.
Non ci fanno imparare le pagine di orrore quotidiano, di mattanza di esseri umani, di come il popolo si sia trasformato da oppresso a oppressore, da giudicato a giudicante, come il sogno di uno stato giusto si sia infranto già ai suoi albori. Non ci vuole molto a capire che sono cambiate soltanto le figure ma che il senso è lo stesso: il potere a pochi, la giustizia manipolabile e violenta. Bastava infatti la parola di un cittadino qualunque e il sospetto che una persona fosse della nobiltà o un sostenitore dell'aristocrazia per mandarla alla ghigliottina. Non ci si poteva fidare di nessuno e nessuno poteva ritenersi immune. Da un momento all'altro chiunque, che fosse una sarta, un panettiere o un soldato, poteva essere trascinato via dai berretti rossi dei "patrioti", messo davanti ad una giuria di finti pari amanti del sangue e poi trascinato al patibolo così, senza possibilità di difendersi e di essere creduto.
Anche allora come oggi, è la paura di un pericolo incombente che ci fa agire. Sono il sospetto e la paura che ci muovono. Il problema è che la storia viene scritta dai vincitori, e pur di avere un bel finale si omettono dei dettagli. Ebbene, Dickens non omette nulla di questi orrori nei suoi esempi di vita vissuta, nella descrizione di vicoli bui e fetidi, di case diroccate, di povera gente morta di fame e di stenti, del circolo di comari che prendevano nota dei misfatti causati dai potenti cucendoli nei loro lavori a maglia, di colpevoli e innocenti ugualmente ammassati e massacrati come un gregge diretto al macello. Nel suo modo crudo ma non eccessivamente cruento di narrare, Dickens è riuscito a farmi respirare prima l'aria della miseria di Parigi, poi il brivido della rivoluzione incombente; ma anche il sollievo di essere arrivati incolumi a Londra, la paura nel tornare in Francia nel dopo guerra, la speranza più volte tradita di riuscire a salvare la pelle.
All'inizio c'è la paura e le vertigini della giovane Lucie, che scopre che il padre non è deceduto come le aveva raccontato la madre, ma che era stato portato via dai soldati senza dargli possibilità di parlare alla famiglia, senza neanche dirgli mai in tanti anni di prigionia i motivi che lo avevano fatto portare alla Bastiglia in isolamento e senza aver ricevuto una visita, o un po' di aria.
Una volta ritrovato il padre, un altro dolore: gli anni di isolamento avevano fatto impazzire il padre, che da giovane e brillante medico si era trasformato in un vecchio calzolaio senza cervello. Ma grazie alle cure di Lucie, che porta il padre al sicuro a Londra e continua a curarlo con amore e dedizione, il padre ritrova se stesso, oltre alla figlia che non sapeva di avere.
In questa atmosfera i Manette conoscono Darnay e Carton e le loro vite si intrecciano, nel bene e nel male.

Mi fermo, non vorrei rivelare troppo, già sto scrivendo troppo. Ma è davvero un bel libro, anche meglio di Grandi speranze che pure ho adorato.

Au revoir!

lunedì 7 agosto 2017

La verità sul caso Harry Quebert.

La verità su questo libro di Joel Dicker è che la trama ha buoni elementi, ci sono delle belle idee, la maggior parte dei capitoli finisce con una imbeccata che letteralmente ti costringe a leggere il capitolo seguente. Praticamente nel finale di un capitolo lancia un sasso, una piccola scoperta, poi l'autore nasconde la mano in una pagina bianca. Il capitolo successivo si apre con una citazione tratta dal passato dei due protagonisti, segue altro vuoto bianco e sfogliando ancora riprende la direzione del sasso lanciato, con calma.
Eppure, nonostante tutti questi aspetti positivi, il libro non mi ha catturata come supponevo.
Ogni volta che entravo in libreria il mio sguardo veniva calamitato verso La verità sul caso Harry Quebert, tanto che alla fine, tra mille prendi e lascia, il mio ragazzo me l'ha comprato.

Mi affascinava l'idea che uno scrittore emergente in pieno blocco creativo, Marcus Goldman, si prestasse a fare il detective per trovare le prove dell'innocenza del suo mentore e amico Harry Quebert, anch'egli scrittore, di lunga fama. Harry è stato accusato dell'omicidio di Nola Kellergan, una ragazza di quindici anni scomparsa trentatré anni prima, dopo essere stata avvistata al limitare di un bosco inseguita da un uomo, ritrovata poi seppellita nel giardino della sua villetta. Marcus, convinto della sua innocenza e della purezza dei sentimenti che tre decenni prima aveva legato Harry e Nola, cercherà di venire a capo di questo mistero. Infatti la polizia non aveva sospettati, si aveva solo l'avvistamento di una macchina sospetta che gli agenti non erano riusciti a fermare. Marcus parlerà con tutti quelli che conoscevano la ragazza, a detta di tutti simpatica, gentile, educata, bella e quant'altro di buono. Ma più si va avanti e più la vita di Nola risulta torbida.
Nelle sue ricerche, che lo portano a scrivere un libro per un fantastico guadagno, ci sono delle falle: piste non seguite, che ogni spettatore di CSI o Criminal Minds avrebbe pensato necessari per la riuscita di un vero caso giuridico. Ma l'autore forse doveva aggiungere qualche altro colpo di scena al suo libro, oppure senza questo fraintendimento sarebbero mancate un centinaio di pagine, rendendo il libro "troppo leggero"; almeno sotto il punto di vista strettamente fisico.
La scrittura è semplice e scorrevole, la ricerca della verità va avanti a piccoli passi, però non è riuscito a coinvolgermi. Manca una certa vivacità nel filo del discorso, non saprei spiegarmi meglio. Ogni due pagine mi ritrovavo a pensare "Oh ma perché siamo ancora qua?!". Non certo una frase promettente.


Alla fine dei giochi, credo che il successo di questo libro sia riconducibile allo stesso motivo per cui il libro di Marcus ha avuto successo, e la parola chiave è: MARKETING.
Marketing, signori, l'arte del saper vendere.
Dalle sue stesse parole si può leggere:
(l'editore di Marcus:) "Tu, piuttosto, sei un tenero cacciatore di farfalle, un sognatore che saltella sul prato in cerca di ispirazione. Ma se mi scrivessi un capolavoro sul Sudan, io non lo pubblicherei. Perché la gente se ne fotte! Se ne fotte allegramente! E quindi sì, puoi considerarmi una carogna, ma io non faccio altro che rispondere alla domanda del mercato. Del Sudan non gliene fotte niente a nessuno, c'è poco da fare. Oggi si parla di Harry Quebert e di Nola Kellergan dappertutto, e bisogna approfittarne: tra due mesi si parlerà del nuovo presidente, e il tuo libro avrà smesso di esistere. Ma ne avremo vendute tante di quelle copie, caro Goldman, che a quel punto te la starai spassando alla grande nella tua nuova casa alle Bahamas."
In effetti, Barnaski era un vero campione dell'occupazione dello spazio mediatico. Tutti parlavano già del libro, e più se ne parlava, più lui ne faceva parlare moltiplicando le campagne pubblicitarie. (...)
"Marcus, sai quanto costa un singolo cartellone pubblicitario nella metropolitana di New York? Un patrimonio, ecco quanto costa. Si sborsa un'enorme quantità di denaro per un cartellone con una durata limitata e un altrettanto limitato numero di persone che lo vedranno: occorre che quelle persone siano a New York e prendano la metropolitana in quella stazione e in un preciso lasso di tempo. E invece ormai basta suscitare l'interesse in un modo o nell'altro, creare il buzz, come si dice in gergo, far parlare di sé e contare sulle persone affinché parlino di te sui social media, e così hai accesso a uno spazio pubblicitario gratuito e illimitato. Da un capo all'altro del mondo, migliaia di persone, senza neanche rendersene conto, provvedono a farti pubblicità su scala planetaria. Non è pazzesco? In pratica, gli utenti di Facebook sono degli uomini-sandwich che lavorano gratis. Sarebbe da idioti non approfittarne."
"Come hai fatto tu, no?"
"Offrendoti un milione di dollari? Esatto. Sborsa un ingaggio da NBA o da NHL a un tizio perché scriva un libro, e puoi star sicuro che tutti parleranno di lui."

Quindi basta saper esasperare un dettaglio, sbandierarlo ai quattro venti, poi aspettare che il seme si depositi e che germogli da solo sul terreno dei social media. Il punto ormai non è più scrivere qualcosa di memorabile, significativo, che resista al tempo mantenendo la sua vitalità. No, quello che conta è vendere e se vuoi vendere qualcosa deve essere qualcosa che la massa vuole. E la massa di questi tempi si concentra sui social media.
Un po' disillusa dopo queste (ed altre) amare riflessioni, ho deciso di leggere qualcosa che avesse almeno cent'anni. L'ho fatto, ma ne parlerò un'altra volta e con tutt'altri sentimenti: di quel libro me ne sono innamorata.