Ecco, non sono proprio una persona sentimentale, io. Okay, è vero che ho pianto per la morte di zio Keith nel telefilm One Tree Hill, che mi sono commossa come una dodicenne col cuore infranto quando nella puntata finale della quinta stagione di Supernatural Lucifero picchiò Dean mentre quello, ridotto ormai ad una pezza, diceva al suo "fratellino" che non l'avrebbe lasciato, che sarebbe rimasto comunque con lui... Ed è pure vero che ho esultato quando Mr Darcy si fece avanti per la seconda volta con Elisabeth Bennet, ero contenta come se fossero persone reali e li conoscessi. Per non parlare di tutti i drammi che mi ha fatto "vivere" la scrittrice Kathleen E. Woodiwiss.
Però è pure vero che se una persona conoscente/amica tenta di abbracciarmi la mia prima reazione è questa:
Meglio nota come: non mi avrai mai! |
La seconda reazione varia da "Okay lo faccio, tanto durerà poco" a "Se ci riprovi, farò in modo che tu non lo possa rifare mai più". A me gli abbracci gratuiti da parte di chiunque non piacciono, fatemi causa.
Tornando al motivo per cui il titolo è quello che è, oggi mi sento sentimentale e siccome mi sento pure senza pudore tié.
Ieri sera parlavo con la mia amica G. che sta a Parma. Parlare con lei mi fa due effetti: mi tira su di morale e mi abbatte il morale. Mi abbatte il morale perché è lontana e ci vediamo bene o male circa due volte l'anno, lei in Emilia-Romagna ed io nella piccola città sicula da cui non riesco, dopotutto, a staccarmi. Ho il mare a due passi e lo adoro; se ho voglia di un panino con le panelle vado a colpo sicuro nel piccolo negozio in centro, dove il ragazzo che ci lavora si ricorda di me e sa che deve metterci solo sale e tanto pepe, senza salse. E non me lo chiede mai come lo voglio, perché lo sa già. Se ho voglia di guidare veloce c'è la strada grande quasi sempre deserta, se ho voglia di guidare piano e non vedermi sorpassare da degli scocciatori strombazzanti c'è l'altra strada sempre vuota.
Egoisticamente, mi solleva il morale perché sa sempre cosa dire per farmi sentire meglio, per ridarmi tranquillità, e lo fa senza rendersene conto, con poco, con la sua candida ingenuità, col suo volermi bene nonostante il mio caratteraccio, nonostante qualche volta mi sfugga di bocca qualche frase poco gentile.
Parlare con lei mi solleva il morale perché mi rendo conto di quanto sia cresciuta in un paio di anni e, anche se sono "più grande" di lei di soli undici mesi, insensatamente mi sento un po' mamma: orgogliosa di quanto sia diventata forte e indipendente e consapevole di potercela fare (che ci posso fare, ho sempre adorato dirle: te l'avevo detto che ce l'avresti fatta, lo sapevo già), fiera di come ha imparato a distinguere le persone di cui fidarsi e quelle da cui diffidare, contenta che abbia comunque conservato quella ingenuità che vedevo in lei quando l'ho conosciuta i primi anni di liceo. Prima la vedevo un po' come una sorellina da proteggere, affinché certa merda che ho vissuto non la raggiungesse e non la cambiasse, e sono stata male per diverso tempo quando una persona a cui voleva bene la deluse perché fu come se l'avessi delusa anche io, come se avessi fallito (me in versione: l'avvocato delle cause perse).
E poi mi dico che ha fatto bene ad andare via, a crearsi una strada tutta sua, perché si merita tutte le cose belle che le sono capitate, anche se lei a volte ne dubita. Quando dubita di se stessa sa che può parlare con me, che tanto credo in lei per due.
Che se fosse qui oggi, sarei io a voler abbracciare lei.
Tornando al motivo per cui il titolo è quello che è, oggi mi sento sentimentale e siccome mi sento pure senza pudore tié.
Ieri sera parlavo con la mia amica G. che sta a Parma. Parlare con lei mi fa due effetti: mi tira su di morale e mi abbatte il morale. Mi abbatte il morale perché è lontana e ci vediamo bene o male circa due volte l'anno, lei in Emilia-Romagna ed io nella piccola città sicula da cui non riesco, dopotutto, a staccarmi. Ho il mare a due passi e lo adoro; se ho voglia di un panino con le panelle vado a colpo sicuro nel piccolo negozio in centro, dove il ragazzo che ci lavora si ricorda di me e sa che deve metterci solo sale e tanto pepe, senza salse. E non me lo chiede mai come lo voglio, perché lo sa già. Se ho voglia di guidare veloce c'è la strada grande quasi sempre deserta, se ho voglia di guidare piano e non vedermi sorpassare da degli scocciatori strombazzanti c'è l'altra strada sempre vuota.
Egoisticamente, mi solleva il morale perché sa sempre cosa dire per farmi sentire meglio, per ridarmi tranquillità, e lo fa senza rendersene conto, con poco, con la sua candida ingenuità, col suo volermi bene nonostante il mio caratteraccio, nonostante qualche volta mi sfugga di bocca qualche frase poco gentile.
Parlare con lei mi solleva il morale perché mi rendo conto di quanto sia cresciuta in un paio di anni e, anche se sono "più grande" di lei di soli undici mesi, insensatamente mi sento un po' mamma: orgogliosa di quanto sia diventata forte e indipendente e consapevole di potercela fare (che ci posso fare, ho sempre adorato dirle: te l'avevo detto che ce l'avresti fatta, lo sapevo già), fiera di come ha imparato a distinguere le persone di cui fidarsi e quelle da cui diffidare, contenta che abbia comunque conservato quella ingenuità che vedevo in lei quando l'ho conosciuta i primi anni di liceo. Prima la vedevo un po' come una sorellina da proteggere, affinché certa merda che ho vissuto non la raggiungesse e non la cambiasse, e sono stata male per diverso tempo quando una persona a cui voleva bene la deluse perché fu come se l'avessi delusa anche io, come se avessi fallito (me in versione: l'avvocato delle cause perse).
E poi mi dico che ha fatto bene ad andare via, a crearsi una strada tutta sua, perché si merita tutte le cose belle che le sono capitate, anche se lei a volte ne dubita. Quando dubita di se stessa sa che può parlare con me, che tanto credo in lei per due.
Che se fosse qui oggi, sarei io a voler abbracciare lei.
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Chiedete e vi sarà dato. Forse.