mercoledì 5 dicembre 2012

Novembre è andato.

Nothing else matters, Metallica.
Sounds good.

Novembre è andato. Il mese che credo il più triste e deprimente dell' anno, è finito da poco. Ed è così perché non ho memoria per i numeri e le date: ricordo la stagione, il mese, ma mai la data. Qualche volta scambio l' anno, ma (come diceva un tizio che conoscevo) "m' avisse agghiuttire un viazzo" (dovessi inghiottire un braccio) se mi ricordo una data. Perciò gli effetti di quello che accade in un determinato giorno può protrarsi per un lasso di tempo maggiore rispetto alle canoniche ventiquattro ore. E dopo nove anni, l' idea del mese di novembre resta legata al senso di perdita per la scomparsa di una persona cui tenevo molto. Uno dei primi veri, forti legami al di fuori della famiglia, tranciato di netto, e di una certezza non era rimasto più nulla.
Probabimente è il mio unico argomento "tabù".
Una volta, un paio di mesi fa, vidi in lontananza sua madre, al supermercato; non la vedevo da anni. Ho avuto un attacco di panico. Sono rimasta del tutto immobile finché lei non si è mossa, ma il panico non se n'è andato. Anzi, ha preso il sopravvento e sono scappata. Appena ripresa la consapevolezza del mio corpo mi sono fermata e mi sono detta "Brutta cazzona, quella donna si merita di meglio!". Sono tornata indietro fino a dove l' avevo vista, ma lei lì non c'era. Era già andata via, per la sua strada, chissà dove. Nonostante una voce dentro la mia testa gridasse "Vile, cresci una volta tanto", non l' ho cercata. Voglio dire, il supermercato non è molto grande, ha una disposizione semplice e spaziosa, quindi non sarebbe stato complicato ritrovarla. Però non l' ho fatto, ho ceduto e mi sono tenuta la vergogna di sentirmi una vigliacca senza palle (metaforiche, sempre).
Non lo avevo raccontato a nessuno, prima d' ora. Forse perché non mi piace sentirmi vulnerabile, fragile. Scrivere è la mia valvola di sfogo, a parole è più semplice. Quindi scrivo. Che se le persone che conosco leggessero queste frasi direbbero "minchiate, questa non è lei".

Vedere quell' adorabile signora mi ha trasportata di colpo nel passato a mò di Ritorno al futuro, in quei momenti ero di nuovo la bambina di nove anni fa e di quella bambina non sono mai stata fiera. Ma forse non era tornare la bambina di un tempo che mi ha mandata in tilt, quanto la sensazione oppressiva di deja-vu; la sensazione del subconscio che di lì a poco avrei dovuto sopportare di nuovo l' urto della notizia, il funerale, il lutto. E nell' ordine: una tranquilla e soleggiata mattina di novembre davanti al chiosco dei panini, accanto alla scuola media, una certa allegria nel vedere, per la prima volta, una compagna di classe aspettarmi fuori dal cancello. Invece di chiacchiere, una domanda piuttosto stupida, schietta e diretta:"Sai che quella persona è morta?". Fu così surreale che mi parse uno scherzo di cattivo gusto. Non ci credevo, continuavo a pensare "Non è vero... Se fosse vero, non me lo avrebbe detto in quel modo"; poi vidi tanti volti in lacrime, e la proff di religione che diede il libero permesso a chiunque volesse uscire e avere un momento di solitudine. Intanto pensavo che non era vero, che prima o poi mi sarei svegliata nel mio letto e avrei davvero dovuto andare a scuola. Ma il sogno non finiva, mi mancava il respiro. Aria fresca, in corridoio. Andai.
Vidi che tutti quelli che erano usciti dall' aula erano lì,in uno stato di sofferenza in cui non li avevo mai visti dall' asilo fino a quel giorno. Lacrime, singhiozzi e frasi sussurrate a metà. Chissà cosa dicevano. Allora capii che era tutto vero, un cuore smette di battere e gli altri continuano. Ricordo solo di essermi seduta a terra, incapace di pensare o di formulare una parola, poi buio. Non ho mai ricordato cosa avessi fatto dopo. Ma finché avrò qualche neurone funzionante ricorderò sempre quel viso pallido quasi quanto la tunica della comunione e quelle labbra non più rosse, ma senza confini, fuse e confuse con il resto del viso, dentro una bara troppo grande.

Non so perché parlarne proprio adesso, dopo aver conservato i dettagli come un segreto. Forse è un modo di mettermi alla prova, o di ammonirmi a non dimenticare, o un tentativo di far qualcosa. Dopo nove anni dovrebbe essere più semplice e far meno male, invece ci sono ancora volte in cui al pensiero di questa persona mi manca il respiro, o che il suo nome mi esce tremante dalla bocca, oppure mi costringo a eliminare quel pensiero, a cacciarlo via. Fa ancora male, e mi manca.
E niente... Ciao, ovunque tu sia.
E ciao anche ai vivi.

 
Io non so parlar d'amore, A. Celentano

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