domenica 3 maggio 2015

2015 Reading Challenge: Aprile.

Alla facciazza di alcune settimane di aprile trascorse interamente tra malanni vari (tra cui una emicrania pazzesca che sembrava mi stessero pugnalando la tempia sinistra senza pietà e un dito chiuso nella porta che a momenti potevo dire addio all'unghia e che ora somiglia alla faccia pesta di un pugile), sono riuscita a leggere i due libri che mi mancavano per concludere la saga sulle pantere mannare di Rachel Vincent, un libro della mia infanzia (vabbè, pochi minuti ci sono voluti) e mi mancano un centinaio di pagine per finire, finalmente, anche Grandi speranze. Dickens, perdonami.

Il penultimo libro mi ha lasciata quasi del tutto indifferente: se uno dei cattivi non avesse detto a Marc di essere un fidanzato cornuto, probabilmente avrei considerato tutta la faccenda una grossa e inutile perdita di tempo. Certo però che per essere un tipo irascibile, l'ha presa piuttosto bene questa cosa. Colpisce Jace un paio di volte e mette il muso a Faythe, poi per il restante libro e il seguito è tutto aggressività passiva e ultimatum. Marc le chiede molte volte di scegliere tra i due e lei rimanda, un po' per i casini politici e i lutti, un po' perché non ci capisce un accidente. Jace è uno zerbino e recita la parte del fidanzato perfetto, quello comprensivo che mette i bisogni di lei davanti ai propri, sempre; al contrario Marc (oltre a quanto già detto) fa quello che gli pare, a seconda dell'umore o la insulta o le parla del dolore e dell'umiliazione pubblica che gli infligge. Alcune cose per me restano senza significato, come la scena dove lei si lagna che lui non la tocca, lui perde la pazienza e suppongo qualcosa d'altro, la trascina in un capanno degli attrezzi per una sveltina squallidissima che manco nei peggiori bar di Caracas e poi la lascia là, ancora nuda sconvolta.
Il perché Marc non la manda a Fanculolandia (a parte perché la ama, misteriosamente) mi è ignoto, immagino sia il sottile confine tra smania di vincere, masochismo e l'assoluta certezza di avere trovato la persona giusta per la vita.
Non posso negare che il personaggio di Marc non è tra i miei preferiti, né che provi molta simpatia per lui, ma persino una stronza come me deve ammettere che nel sesto libro è quello più bistrattato, umiliato e degradato senza neanche dei validi motivi. Ma forse c'entra (anche) il fatto che Faythe mi piace meno di Marc. Quanto meno lui ha una certa coerenza e personalità stabile, irascibilità esclusa.
Verso la fine Marc ha un lampo di genio: stanco di aspettare se ne va, adios. E finalmente lei inizia a capire...
Dovrei essere contenta perché tre quarti delle mie previsioni si sono avverate (questo perché la seconda teoria aveva un elemento inconciliabile con la prima, altrimenti avrei indovinato tutto), invece il finale per me è stato deludente. Lei fa la sua scelta, lo scartato va a costruirsi una vita altrove e più o meno finisce così.
Una saga è un impegno a lungo termine, ci si investe più di quanto si faccia con un singolo libro. Qua ce la mena per sei fottuti libri sul rivoluzionare il sistema politico, di ciò che è giusto e cosa sbagliato, di lottare per i cambiamenti, di credere in ideali, di quello che sarebbe potuto accadere al ragazzo scartato e alla donna incinta per miracolo (non aggiungo dettagli) e decine di altre incertezze e alla fine accampa un finale che è più la conclusione di un capitolo, non di una saga. Nella sua brevità lascia più domande e vuoti che conclusioni. Io voglio un epilogo, una vista sul futuro, una narrazione completa dei fatti, altrimenti non leggo una saga ma un libro singolo, autoconclusivo. Non mi piacciono i finali aperti. Io voglio sapere, non voglio dover immaginare il seguito, farmi mille teorie, non sta a me scrivere il seguito. Non voglio.
Alla fine non è stata la lettura leggera che volevo e mi aspettavo: troppi guai e poche battute, troppi drammi e poche vittorie. Senza contare che i paladini dell'ingiustizia che trionfano mi urtano i nervi più di quanto io possa spiegare. L'unica parte vagamente divertente è stata la seguente (i tre vengono trasportati in volo sul nido di condor mutaforma):

(Faythe) -Stai bene?-
(Jace) - Per l'inferno, no!- Rimase in piedi per un istante, vacillando, e si aggrappò a me, la faccia più bianca di una strada del Texas bruciata dal sole -C'è una ragione precisa se i felini non hanno le ali.-
-Sì, ma se non altro cadiamo sempre in piedi-
-Allora com'è che io sono caduto sulle chiappe?-

Perciò per trovare leggerezza ho usato il jolly: un libro dalla mia infanzia e che si può leggere in una giornata, segnando così almeno due punti. Il libro è Gimmi a scuola, di Willi Tobler con illustrazioni di Hans de Beer, uno dei miei preferiti quando avevo sette anni. Ecco una foto del libro con la mia "libreria" (anche se non si vede, è piena fino all'orlo e altri libri sono in giro per casa).


2 commenti:

  1. Non mi sei sembrata dolcezza molto felice della scelta del Iibro, capita ..spesso ci si aspetti molto da una lettura e poi..o viceversa..
    Non conosco il libro della tua infanzia, ma conosco bene invece l'llustratore....Divino!
    Un bacio speciale bella Maya mia..... a presto!!!!

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    Risposte
    1. Già da bambina stavo più tempo a fissare i disegni che non a leggere :D
      Bacione!

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