domenica 16 febbraio 2014

Party planner no grazie.

In famiglia hanno tentato di combattere la mia vena asociale dandomi il compito di organizzare la festa di compleanno di papà IN CASA NOSTRA. E già lì è sfumata la mia prima idea, ossia andare nella pizzeria più buona della città. Sigh. Non mi capacito di come Genitrice abbia potuto dire di no a quella squisitezza (melodramma is the way).
Da questa esperienza ho capito un paio di cose:
  1. I supermercati alle 19.30 sono un covo di individui mentalmente instabili (e io ho alzato la media).
  2. Se ti va male in un supermercato, andrà sempre peggio.
  3. Se sei alta, diciamo, come un folletto (a voi la scelta tra la figura mitologica e l'aspirapolvere omonimo) e indossi jeans scuciti, se ti presenti alla cassa con una bottiglia di rum in mano, ti chiederanno un documento di riconoscimento. Seguito da un attento scrutare da parte della commessa e sguardo a metà tra le scuse e la derisione.

Se non dovessi fare la baby-sitter nel pomeriggio sarei certamente balzata alla guida molto prima delle sette di sera. Avrei cominciato prima anche se Genitrice si fosse fermata alla seconda lettura della lista di cose da comprare, invece di proseguire fino alla sesta. Sarei anche tornata prima delle nove se non fossero accadute quelle sfighe.
Visito il primo supermercato: tre delle cose elencate non ci sono, due costano il doppio rispetto ad un altro venditore. Avanti un altro.
Il secondo luogo pare essersi smaterializzato dalle coordinate geografiche in cui solitamente si trova e ricomposto in un cosmo la cui unica fonte di luce sono gli abbaglianti delle vetture che provengono dalla corsia opposta. Come se non bastasse la quasi cecità indotta dal contrasto buco nero/luce divina, il tizio nella vecchia auto dietro di me pensa bene di non rispettare la distanza di sicurezza e mantenere in attività i suoi abbaglianti, cosa che riflettendosi sullo specchietto retrovisore mi illumina gli occhi. Arrivo finalmente al supermercato, metto la freccia a sinistra per entrare e mentre penso "caspita, ma è chiuso o non hanno un generatore autonomo di corrente?" il simpatico autista che mi segue ha un'altra brillante idea: mi sorpassa da sinistra. Poi ci insegnano che le parolacce non si dicono, ma intanto quello mi deve spedire una cartolina dalla Casa Bianca di Fanculolandia.
Una gentile signora con pargolo alla mano mi comunica che non c'è corrente e che i commessi erano in preda alla disperazione. Non sa la mia, di disperazione. Poche ore e casa mia sarà piena di parenti che, non avendo antipasti con cui dilettare il loro palato, si diletteranno a chiedermi se ho pensato di tornare all'università, che Tizio ci è tornato, Caio ha iniziato, Sempronio ha finito, Tal dei Tali ci va ma da pendolare perché non trova un appartamento (perché è snob e altezzoso non lo dicono) quindi potrei andarci con Tal. Sì certo, corro subito a fare l'iscrizione (nel frattempo chiedo al mio nuovo amico automobilista se ha bisogno di una segretaria in quanto nuovo sindaco di Fanculolandia). Credono che il mio farmi i fatti miei sia sinonimo di paziente zerbino, peccato che io non sia nessuna delle due. Non sono paziente, non sono accomodante, non sono una che fa niente per niente (quando non si tratta di amici o di gente che trovo quanto meno simpatica). Come se il motivo per cui non voglio fare l'università sia la solitudine, come se scegliere una città in cui ho amici universitari sia un problema. Illusi.
Piuttosto che sorbirmi tutta la saga dei parenti/parenti di parenti/amici/amici di parenti/parenti di amici ect e delle loro carriere universitarie vado in un terzo supermercato.

Poteva mancare l'intoppo? Aspetto rosicando che un tizio esca dal parcheggio, volendo io lasciare la mia vettura all'entrata vista la pioggia che comincia a scorrere. Dopo almeno dieci inutili, stortissime manovre il genio mi si ferma davanti e un altro tizio si avvicina in controsenso e mi frega il posto. Schiaccio il clacson come se ne andasse della mia vita; il peso umano si toglie finalmente da davanti mentre il ladro di posto esce, scrolla le spalle e corre dentro il supermercato. Eccolo il prossimo sindaco di Fanculolandia.
Parcheggio a svariati metri di distanza, compro quello che c'è da comprare (e non sapendo ancora che Genitrice mi tartasserà perché ho comprato tovaglioli color senape e non giallo) esco e trovo il diluvio. Gocce grosse come cucchiai di sale e pozzanghere a dieci centimetri l'una dall'altra. Mando i miei calorosi saluti al ladro di posti, calo il cappuccio del giubbotto (perché gli ombrelli li rompo sempre) e spicco la corsa. Arrivo comunque bagnata fradicia. Giusto l'unica cosa di cui non avevo nostalgia di Parigi , i diluvi e la grandine (vedere al supermercato le Madeleine, quella sì che è nostalgia).
Torno a casa, commenti e lamenti di Genitrice. Preparo la tavola. Scelgo le ciotole per noccioline varie e lei me le cambia. Sistemo i tovaglioli, e lei li sposta. Arrivano i parenti, sistemo i loro giubbotti e Genitrice è soddisfatta. NO. Me li fa spostare. Due volte.
E a serata conclusa mi sento pure dire: non hai fatto niente! Per dire, ho persino comprato le candele che sparano scintille da mettere sopra la torta.

Col cazzo che farò la party planner.
 



Il bosco della regina a Versailles. Citare Parigi me ne ha fatto ricordare, quanto capisco l'amore della regina per il suo bosco.

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